15 settembre 2003

E' ancora della serie cose vecchie e quasi dimenticate questo scritto, poco inquadrabile in una tipologia predefinita, risalente ad un paio d'anni fa (credo, forse qualcosa meno). Riletto a distanza è molto vicino allo spirito del CAFA, però preferisco pubblicarlo qui: troppo lungo, personale e vecchio per il Centro. Buona lettura.

DICHIARAZIONE PROGRAMMATICA DI UN GIOVANE SCRITTORE

Tutte le storie iniziano, ma questa no. Probabilmente finirà, prima o poi, o almeno così vi sembrerà: avrete l’impressione che finendo di leggere queste pagine la storia sia conclusa e magari dimenticata, chissà; ma non saprete mai che questa storia è iniziata, perché non ne avete avvertito l’incipit, non avete potuto farlo. Quando vi siete resi conto dell’inizio della storia? Adesso? Non ancora? Quando? Non potete farlo, non potete! Vi trovate leggenti sopra pagine stampate, non potete negarlo, ma non sapete se e quando questa storia è mai iniziata.
Al mio fianco c’è quella scrivania, quella vecchia scrivania dove ho scritto tutto, o quasi, chi potrà mai dirlo. Non ho visto la luna, stasera, ma so che c’è. Invece voi non potrete mai sapere se questa storia c’è, c’è stata, o ci sarà, accettatelo per favore.


III
Domani. Ho fatto tutto: mi sono alzato, lavato, nutrito in fretta e furia. Ho chiuso dietro di me la porta. Mi sono avviato, sono rientrato per riprendere ciò che avevo dimenticato, o per lasciare quello che avevo portato di troppo. Sono giunto là dove dovevo giungere e mi sono seduto. Poi mi sono reso conto che era domani.
Altra gente avrebbe urlato, ma io no: ok, era domani, ma oggi che cosa avevo fatto? Pensavo, ma non ero sconvolto. Mi ero abituato a non sconvolgermi, in quelle occasioni.
-Hai per caso visto la mia penna?
D’un tratto tutto pende a destra. Lo schermo, la mia testa…non credevo di essere così stanco.
-Quale penna, di grazia?
-La mia
Il fatto che questa storia non sia mai iniziata vi dovrebbe essere entrato in testa, a quest’ora.
-Credo che tu abbia dormito male, oggi
-Ah, non ti sei accorta ancora che è domani?
Non credo proprio che qualcuno si potesse sconvolgere, a quel punto.
La pendenza, piano piano, aumenta. Ma non smetterò, per ora, di scrivere. Mi è sempre piaciuto andare in bicicletta e sfidare i salitoni che nemmeno io pensavo di poter fare. E poi devo scrivere.
-Be’, allora ciao, ci vediamo dopo – ma non ci saremmo più visti, quel giorno.

VII
Sulla scrivania, quella dove si è detto che io abbia scritto tutto, su quella scrivania giacciono ora tre fogli, anzi quattro, se si contano come tali quei due legati assieme. Uno solo è manoscritto, pessimamente manoscritto, come t’immagini; parla di Agesilao, ed è appena stato reso perfettamente inutile da una speranza fattasi realtà all’improvviso, ma mal sfruttata. Gli altri due sono altrettanto inutili, ma lo sono sempre stati: non hanno attraversato, quei fogli fortunati, speranze e illusioni avveratesi o meno, sono quello che erano e quello che saranno, a quanto pare.
Se vi dicessi che la scrivania di cui vi parlo è la causa del mio scrivere sbaglierei, e poi voi non ci credereste, ma comunque non sbaglierei di molto. Diciamo che un nesso c’è: un nesso c’è. Con lo sguardo basso che ho stasera, con questo sguardo basso e pendente, non mi sono neanche reso conto della scrivania, ma credo che sia ancora lì, così come ve l’ho descritta. E’ sempre vero che potrebbe essere stata spostata, o riassettata, ma qualcosa mi suggerisce che non è così, o che ciò non ha alcuna rilevanza.

XII
Nella stessa giornata di domani -ve ne ho già parlato, ricordate?- un altro ragazzo mi ha chiesto:
- Che ore sono? – e io mi sono reso conto di molte cose: prima di tutto che dovevo già risalire le scale che stavo scendendo; in secondo luogo che quel ragazzo non aveva un orologio; ma fu per terzo che mi sovvenne il vero fatto. Che senso ha sapere l’ora, se non sai che è il domani che stai vivendo? Tu non ti rendi conto di vivere il giorno sbagliato (quel ragazzo, domani, non se n’era reso conto) e chiedi l’ora, ingenuo. Lo so che vi sembrerà strano, ma anche dopo quel terzo pensiero non mi sconvolsi: la forza dell’abitudine ormai aveva su di me il sopravvento, totale. In quelle situazioni l’abitudine a non urtare la mia calma era impossibile da combattere.
Rientrai nella solito sala, per sedermi sulla solita sedia, che poi non era necessariamente la stessa, né necessariamente nella stessa posizione, ma è uguale.

XIII
Domani è finito. E voi mi direte: quando? E se la logica è la via per procedere diritti, credo proprio che abbiate incontrato una curva a gomito: il domani non può essere finito ieri, né oggi, né, penso, dopodomani, però è finito, ve lo sto raccontando! Nel frattempo potreste essere alla fine della storia, senza mai averne afferrato l’inizio.
In ogni caso la scrivania è ancora qui con me: credo che non vi libererete di tutto ciò tanto presto.

XXI
Quando coprendomi mi resi conto che non era più domani, ebbi paura di non riuscire dormire sapendo di ignorare che giorno era. Mi era già capitato moltissime altre volte di non sapere la data in cui vivevo, se era lunedì, martedì o quale altro giorno; mi capitava di sbagliarmi sul mese, sull’anno e in alcuni casi, a ridosso del duemila, anche sul secolo e sul millennio, ma mai prima di allora mi era capitato di non sapere se era oggi, domani o cos’altro. Nonostante ciò i miei occhi si chiusero ed io presi sonno.
Mi svegliai una mattina nevosa e ventilata, nella mia camera, con la finestra già aperta. Il giorno dopo domani sarei dovuto andare a scuola, ma quella mattina erano già le undici passate e capii che probabilmente era domenica, oppure un giorno di vacanza; forse era capodanno. Scesi dal letto con un salto, tanto per rendermi ben conto di avere due ginocchia deboli ed incapaci persino di reggere il mio ridicolo peso. Passai attraverso il bagno e ne uscii; mi resi conto solo dopo che aveva una porta sola e nemmeno una finestra. Scesi le scale con una calma non mia e sbirciai di nuovo il paesaggio al di fuori di casa.
La neve è solo una variante dell’acqua, questo dovete tenerlo a mente, ma preferii un colazione più sostanziosa; feci con calma anche quella. Fu con ogni probabilità a quel punto che me ne accorsi. Mi alzai dalla tavola con una tazza vuota in mano e mi resi conto che ero solo in casa, poi mi diressi in soggiorno, cioè dalla parte opposta rispetto al lavandino dove la tazza era diretta, quella mattina. Nonostante tutto non la feci cadere, e dopo un po’ la riportai al suo posto, ma la mia mente mi aspettava altrove; forse anche gli occhi. Il camino pareva essere stato acceso, quella notte, ma a ripensarci non sapevo se c’era stata una notte, quel mattino.
Mi ero lasciato alle spalle il domani, o questo supponevo sul tempo, senza sapere dove e, soprattutto, quando ero diretto, nemmeno una volta partito, una volta svegliatomi. Decisi ugualmente di vestirmi ed uscire, ma mentre cercavo di svolgere il primo, difficile compito, non mi limitai ad indossare due o tre pezzi della strana collezione autunno-inverno, ma presi tutto il contenuto del vecchissimo armadio e lo infilai in una borsa, la prima che trovai. Una tra le chitarre si aggregò alla compagnia e la porta si chiuse dietro noi tutti, come aveva già fatto il domani, qualche tempo prima.

XV
Adesso non è più domani, non è vero? Hai smesso di leggere e inizi di nuovo, adesso, con un nuovo capitolo, dopo un giorno di pausa. Se è così, ti chiederai come faccia io a saperlo; fai bene a chiedertelo. Se non è così, sbagli. Perché ciò che ho detto è accaduto; perché se così non fosse tu non staresti leggendo tutto questo, ma siccome sei certo di essere assorto in tutte queste giustapposte parole, allora ti dico che è passato un giorno. Ti può essere sfuggito: che vuoi che sia, un giorno? E adesso hai anche capito come faccio a saperlo, che è passato un giorno. Insomma, siamo al giorno dopo il domani e io sono in strada, con un borsone e una chitarra, mentre tu leggi. Non puoi negare che io ti stia scrivendo e non che ti abbia scritto, bada bene, ma che ti stia scrivendo. Ubiquità, o magari non più. Comunque cammino e scrivo, suono e cammino, o scrivo e suono, ma comunque cammino. Chiedo aiuto, nel giorno in cui iniziai a scrivere tutto ciò, cioè domani, e chiedo aiuto al giorno in cui iniziai a scrivere del tutto: dovevo avere all’incirca cinque anni. Non mi potevi aiutare, allora. Non puoi neppure farlo adesso. Puoi solo leggere e non capire: fallo! Renditi conto che è passato del tempo e che questo tempo stesso costituisce ciò che leggi,. Io non scrivo e nemmeno trascrivo ciò che succede, è successo, accadrà; ma ti permetto di leggerlo. E di non capirlo.

XL
Finalmente oggi! E’ lo stesso giorno quello in cui io scrivo e quello in cui tu stai leggendo. Ricordati: leggere, non interpretare. Solo leggere, e non capire. Se poi hai qualcosa da dire, scrivi.

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