18 aprile 2005

Sono incriccato su una panchina tra una vecchia ed una middle-aged. Io e le mie stampelle, decisamente troppo basse per me. Di fronte a me le paillette di una pinko bag, indossata da una lardosa sudamericana in gessato, mi distraggono dall'atmosfera luttuosa del funerale. Quando poi dalla porta laterale del santuario entra un cameramen di ETV con la sua Sony in spalla, la situazione si fa pressoché insostenibile.
E' morta una bambina di sette anni, investita da una sciura che poverina sta peggio di tutti, anche perché a quanto so non ha colpe. Così gli innocenti muoiono e o soffrono, i malvagi e gli imbecilli decidono le sorti del pianeta. Questo è il mio pensiero mentre ascolto il prete pronunciare un'omelia abbastanza classica.
Ci sono le maestre, i compagni di scuola ed ovviamente i familiari, tra cui spiccano un giovine con la cresta impomatata e un fusto con gli occhiali da sole fashion-model. Io sono lì perché il fratello della piccola lo conosco (Ma non riesco a incrociare il suo sguardo, in mezzo a quella bolgia; mi spiace molto: ero lì per lui). Ma gli altri, perché sono lì? Appartenenza alla comunità. Pecoraggine. Solidarietà umana. Protagonismo. Condivisione. Varie ed eventuali. Non lo so.
Le parole delle piccole amiche che la salutano per l'ultima volta mi commuovono, anche se so che magari non le hanno scritte loro. Quelle del prete no. Le facce dei bambini che piangono e di quelli che, appena scomparsa la bara, si rimettono a giocare, non capendo i rimproveri della madre bigotta, mi danno un misto di gioia e tristezza. E' la vita che mi commuove, non la morte, comunque.
I funerali proprio non li capisco.

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